SCOPO DEL BLOG


Nella creazione di qusto blog musicale, il nostro pensiero si è rivolto principalmente al rapido (e per certi aspetti controverso) processo d’integrazione multietnica in ambito scolastico, processo che ha inciso notevolmente sulla qualità dei rapporti con la docenza e più direttamente sul dialogo con gli alunni/studenti “indigeni”, specialmente in età pre e post – adolescenziale. Luogo privilegiato di incontro e di verifica di questa “provvidenziale emergenza” (o di temibile “invasione” come da taluni ambienti prospettata) in rapida crescita, non priva a tratti di pressanti interrogativi circa il da farsi, non può necessariamente che essere la scuola con la sua capacità aggregativa e socializzante, oltre che, naturalmente, educativa. Al di là di ogni considerazione accessoria al tema dell’insegnamento musicale nella scuola multietnica, appare chiaro sin da ora che, nel breve, ma soprattutto medio-lungo periodo, tale attività didattica, non disgiunta da altre importanti discipline artistiche, non potrà non tener conto degli apporti e dei contributi dei “nuovi italiani”. A tale proposito, concludendo il suo saggio Music in the Gold Coast, apparso nella Gold Coast Review, III/2 (1927), p.223, William E. Ward afferma, (ma si era nel pieno del culturalmente lontanissimo periodo coloniale a beneficio delle maggiori potenze marittime occidentali) che «se la musica africana potesse imparare dall’Europa i moderni sviluppi nella forma e nell’armonia, essa diverrebbe l’arte più splendida che il mondo abbia mai visto”. Sembra fargli eco Reginald Foresythe, sottolineando che, «ai bambini africani bisogna insegnare la musica africana assieme a quella europea. Solo in questo modo possiamo sperare di creare una scuola africana di compositori, la quale dovrà necessariamente vedere fondersi insieme i linguaggi d’Africa e d’Europa. Naturalmente tutto ciò si basa sul genio individuale, m si può guardare al giorno in cui le grandi composizioni di musicisti africani – composizioni che portano il segno dell’originalità e della profondità che sono la volontà dell’Africa – saranno udite nelle sale da concerto del mondo intero». (Reginald Foregsythe, recensione di William E. Ward, Music A Handbook for African Teachers , Londra 1939, in Overseas Education, IX/3 1940, pp.174-175).
Il docente, fino a pochi anni or sono, abituato anche semplicemente a livello linguistico e comportamentale a muoversi disinvoltamente in un ambito quasi familiare, perfettamente consapevole degli usi, dei costumi, direi persino dei pensieri dei propri alunni/studenti e relativi genitori/tutori, si trova ora davanti, assieme ad una fresca e pressante domanda di conoscenza (o di rifiuto della stessa), il problema di individuare, assieme al modo giusto migliore per proporla e “distribuirla” efficacemente, la necessità di assumere un determinato atteggiamento psicologico e relazionale (l’ideale sarebbe possederlo a livello spontaneo) capace, da una parte, di promuovere un’accoglienza franca e schietta, naturalmente scevra da reminiscenze razziste (anche involontarie: i termini “marocchino”, “beduino” ecc. hanno, in certi contesti anche acculturati, una valenza assai spregiativa o comunque irrisoria), con ampia disponibilità all’ascolto, e, dall’altra, di pretendere una certa disciplina, purtroppo spesso carente anche nella parte “indigena” della popolazione scolastica. L’insegnamento delle discipline musicali può costituire un valido anche se non esclusivo strumento di serena aggregazione e di “pace scolastica” fra le “parti”. In sintesi, l’apporto musicale del singolo alunno/studente migrante, incontrandosi ed interagendo con quello dei compagni “stanziali”, potrà creare un valido punto d’incontro e di dialogo costruttivo, capace di fugare, assieme a preconcetti, frizioni latenti o manifeste dovute ai diversi contesti socioculturali di provenienza. Questo è in fondo lo scopo che si prefigge questo blog: quello cioè di far emergere e mettere a frutto la “dote” culturale di ciascun alunno/studente (tramite notizie, collegamenti a siti specifici, mappe concettuali sui più svariati argomenti: ogni sorta di contributo europeo o extraeuropeo che ciascun singolo allievo può inviare liberamente al blog), sottraendo così spazio agli sterili contrasti. Nel nostro blog abbiamo deciso di dare risalto principalmente all’impronta delle musiche, dei ritmi tribali, delle tradizioni melodiche posseduti dai ragazzi africani che costituiscono, oltre che loro personale “dono d’ingresso”, straordinari strumenti relazionali e comunicativi di cui la scuola, senza disattendere programmi e studi tradizionali in materia disposti dai programmi, può servirsi per accedere a straordinarie opportunità di arricchimento culturale (pensiamo, ad esempio al patrimonio musicale del Maghreb ancora trasmesso coralmente, alle sue danze tradizionali, alle sue ninnananne e filastrocche di intensa poesia). Ciò non esclude in futuro, a seconda della provenienza dei nostri studenti, di estendere il contenuto del blog alla cultura musicale degli altri continenti.
Felice Liperi, giornalista Rai-Radio 3, nel suo lavoro La musica immigrata in Italia, afferma come sia stato Léopold Senghor, grande poeta africano ed ex presidente del Senegal, ad affermare che la fantasia è meticcia, ed esaltando l’idea che l’incontro fra genti sia una fonte essenziale per lo sviluppo culturale ed umano. E dichiara: “Anche il cuore dell’Europa ha un’anima meticcia… e sarebbe illogico pensare che le migliaia d’immigrati giunti nel nostro Paese non si portino, con le braccia, anche la memoria culturale e musicale d’origine”. Cosi, strumenti dai nomi difficili da pronunciare e ricordare come il bendir, la darbouka e i tamburi tbil, assieme alle nacchere in metallo della tradizione gnawa, portano in Italia e in Europa nuova linfa espressiva.